Riprendiamo con la pubblicazione delle interviste agli associati UNIV. Oggi è la volta di una donna imprenditrice: Claudia Debole, amministratore unico di ANCR Vigilanza a Catania.
Dopo un anno oltremodo difficile, se n’è presentato uno forse ancor più complesso: come sta andando questo 2021? Ci si avvia verso una normalizzazione oppure dobbiamo immaginare un new normal? Con quali caratteristiche?
Di certo la pandemia non esaurirà i suoi effetti negativi nel breve periodo. In ogni caso, credo che non tutto tornerà esattamente come prima, tanto nella società quanto nei mercati.
Forme di insicurezza diffusa e la volatilità dell’economia costituiranno le cifre di una normalità assolutamente “inedita”, anziché “new”. Il che ci impone nuove sfide, specie sul fronte della vigilanza ad alto contenuto tecnologico, ove dovrà essere ottimizzata in senso strategico l’interazione tra guardia giurata e sorveglianza elettronica. Detto altrimenti, si dovrà puntare a forme di re-engineering aziendale per abbassare i costi, senza però penalizzare la qualità e l’efficienza del servizio. In questo contesto, la formazione-aggiornamento delle risorse umane è determinante.
Quali sono a suo avviso le criticità più dannose del mercato italiano della vigilanza privata? (normativa ridondante, concorrenza sleale, utenza che chiede servizi da 100 ma vuole pagarli 10, CCNL che stenta a rinnovarsi, scarsa mentalità manageriale, etc)?
Il mercato della vigilanza – o meglio della sicurezza privatizzata – obbedisce comunque alle cosiddette leggi generali del mercato e quindi alle logiche basate sull’imprevedibilità. Voglio precisare che non faccio riferimento al mercato globale ma a quello italiano e, per certi versi, anche a quello comunitario poiché l’Ue prevede la mobilità del lavoratore della sicurezza privata all’interno dei propri confini. Detto ciò, a penalizzare il nostro settore sono soprattutto la complessità e la stratificazione della vigente normativa: a mio avviso, si dovrebbe tendere alla redazione di un testo unico sulla sicurezza complementare. Il legislatore potrebbe anche “ridurre a uno” gli interlocutori istituzionali – o la questura, o la prefettura – a tutto beneficio dello snellimento delle procedure di autorizzazione e di controllo. Quanto al tema delle concorrenza sleale, occorrerebbe a mio avviso un’autentica rivoluzione dell’etica professionale – della quale ad oggi non riesco purtroppo a scorgere alcun segno premonitore. Vi saranno comunque episodi di concorrenza sleale finché – come Lei dice – l’utenza chiede servizi da 100 ma vuole pagarli 10. Mi viene da pensare che anche la mentalità dei clienti dovrebbe mutare in tal senso.
La normativa appena rilasciata sul Green Pass nei luoghi di lavori impone ulteriori controlli da parte del datore del lavoro e la possibile sospensione del salario: in che modo gestirete queste procedure?
Abbiamo già iniziato a gestire il problema attraverso un’e-mail a tutti i dipendenti, con l’informativa contenente gli elementi di cui all’art. 13 del Reg. Eu 679/2016 e l’apposizione di informative brevi in prossimità dei luoghi d’accesso. La base giuridica si rinviene nell’obbligo di legge sancito dall’art. 3 del D. legge 127/2021 che manterrà la sua validità fino al 31 dicembre 2021, data in cui sarà cessato lo stato di emergenza.
Che tipo di reazione avete registrato da parte dei dipendenti? Quanto impatta il tema privacy in queste pratiche?
Ad oggi abbiamo registrato varie reazioni: c’è chi si sente tutelato e chi invece si sente vincolato nelle scelte personali. Il tema privacy in queste pratiche può comunque impattare poco, poiché il comma 5 dell’art. 13 del DPCM del 17 giugno 2021 dispone che “l’attività di verifica delle certificazioni non comporta, in alcun caso, la raccolta dei dati dell’intestatario in qualunque forma”. Il divieto di conservazione è stato, altresì, ribadito dalla nostra Autorità Garante, la quale con nota dello scorso 6 settembre ha dichiarato che le operazioni di trattamento relative alla verifica del Green Pass restano valide solo nell’ambito strettamente circoscritto agli obblighi di legge. Resta, pertanto, fermo il divieto di richiedere copia o prelevare copia digitale del Green Pass e di annotazione (cartacea o digitale) della validità della certificazione.
Molte guardie giurate ambirebbero alla qualifica di pubblico ufficiale: lato impresa, ritiene che sarebbe utile?
La nozione di pubblico ufficiale è fissata con grande precisione dal codice penale all’articolo 357: sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria, amministrativa. Le nostre sono aziende private – precisamente, Istituti di vigilanza privata operanti ai fini di lucro – che “completano” la tutela della proprietà attraverso la prevenzione, sotto il controllo statale nonché nel quadro di un regime contrattuale. E dunque, non esercitando la gpg alcuna “pubblica funzione”, ritengo sia corretta la scelta operata dal legislatore di considerarla come soggetto incaricato di pubblico servizio. Mi lasci aggiungere una cosa: il vero problema non risiede nell’attribuzione della qualifica di pubblico ufficiale, ma nel dare maggiore tutela e garanzie alla gpg. Le guardie, infatti, hanno affrontato un’evoluzione della loro professione e di conseguenza dei compiti loro assegnati. Una trasformazione che non ha intrapreso un percorso lineare e che non ha comportato una crescente tutela dell’addetto.
Com’è essere donna e imprenditrice nel settore della vigilanza privata?
Essere donna imprenditrice nel settore della vigilanza privata non è per nulla facile, poiché è un ambiente prettamente maschile e fatto di pregiudizi. Io rappresento la terza generazione della mia azienda, sono cresciuta al suo interno, ho iniziato come guardia giurata per comprendere a pieno il punto di vista del lavoratore, mio padre mi ha insegnato che prima di comandare devi essere comandato. Ne faccio tutt’oggi tesoro. Man mano mi sono fatta strada all’interno dell’azienda e ho sempre lottato per dimostrare che ciò che ottenevo me lo meritavo.