Il subappaltatore deve usare lo stesso trattamento economico previsto dal CCNL dell’attività oggetto di appalto anche se l’attività subappaltata è diversa. Lo dice il nuovo comma 1-bis inserito nell’art. 29 del Dlgs 276/2003 a opera del Dl 19/2024. Chiara la ragione per cui è stato scritto: evitare speculazioni retributive a discapito della sicurezza dei lavoratori. Meno chiara la costruzione della frase, che rischia di creare effetti collaterali non sostenibili per le imprese.
Leggiamo il nuovo comma:
1-bis. Al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nell’eventuale subappalto è corrisposto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto.
Esaminando il nuovo comma, per il settore privato vengono stabilite tre regole:
1) al personale impiegato nell’appalto e nel subappalto devono essere garantite retribuzioni adeguate (benissimo);
2) le adeguate retribuzioni sono rappresentate dal trattamento economico non inferiore a un CCNL di riferimento (più che giusto);
3) il CCNL di riferimento è quello strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto.
Quest'ultima regola pone dei dubbi applicativi: se le retribuzioni adeguate sono quelle riferite al CCNL più applicato nell’attività oggetto di appalto, ma non anche del subappalto, le imprese potrebbero trovarsi in condizione di non poter sostenere i salari.
E se questo vale per il settore privato, con il pubblico non va meglio.
Forse sarebbe utile avviare una discussione sull'argomento.